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Roberto Santoro

2006

mercoledì 09 agosto 2006

Ore: 21:30 | Palco centrale

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È una vita da menestrello quella di Roberto Santoro, passata a suonare per vivere e a vivere per suonare. Inizia a suonare la chitarra affascinato dalle canzoni di Fabrizio de André e Bob Dylan, dai suoni rock che arrivano dal mondo anglosassone (Nick Cave, Smiths, Cure), dai versi di Baudelaire e Cesare Pavese. Entra a far parte, giovanissimo, di numerosi gruppi sotterranei come cantante- chitarrista e nascono le prime composizioni. Si trasferisce a Milano, si iscrive a Lettere e Filosofia e si guadagna da vivere suonando con diverse cover band, in giro per l’Italia e all’estero. Nel 2006 incontra Angelo Carrara che produrrà in seguito il suo primo album “Santa Libertà”: quasi un concept-album dalle sofisticate influenze folk-pop, diretto dalla produzione artistica di Mauro Pagani,Eugene Rutherford e Filippo Bentivoglio. Dal 2007 collabora con Francesco Baccini come autore di alcuni brani dell’album Dalla parte di Caino e come chitarrista/bassista nel tour del 2008. Sempre nel 2008, a luglio, riceve il Premio Lunezia “Future Stelle” per il valor Musical-Letterario. Il 19 Giugno è uscito il nuovo album “Santa Libertà”. “SANTA LIBERTA’ è un disco meticcio: un poco rock e un poco canzone d’autore, un poco folk-etnico e un poco pop. Mi sono preso la libertà (appunto) di coniugare i generi con le necessità dei testi, e viceversa. Canto d’amore e d’amicizia, di speranza e desiderio. Un viaggio fra episodi reali e simbolici, perché là dove l’esperienza non basta, occorre diventare visionari”.
Santa libertà. È un inno, una preghiera laica. Libertà perché è la panacea, il rimedio per tutti i mali. Santa perché è beata, sta altrove. È utopia.
Hai preso casa in Mexico. Ci sono posti lontani dove le vita è più leggera, dove si è veramente liberi. Raggiungerli però deve essere una circostanza definitiva. Ecco l’immagine di un Messico ideale dove un amico perduto ancora c’è. E se la spassa. Non credo che sia stato Andrea. Come se fosse la taranta di Ulisse, è la canzone della crisi, il folk della caduta e della scoperta. Ha un tono mitico, biblico e parodistico, alla Dylan. Se ci si spoglia di ogni sovrastruttura tutto è possibile e più splendente. Libertaria. Navigante di te. Il mare metafora del desiderio. Tra fado e sirtaki, è un canto d’amore inappagato: dopo il mare inizia l’oceano. Il tritacuore. È un’ironica danza scaccia dolori. Si sviluppa come un dialogo e descrive una precisa coreografia. È impreziosita dall’assolo finale del violino di Mauro Pagani. In ogni cosa sei. La ricetta della felicità comprende ingredienti fondamentali come il viaggio, l’amore e il sesso. Si può stare bene ovunque con la giusta compagnia. Un momento rock-pop. Quasi psichedelico. L’alchimista. È colui che cerca il compimento di un’opera, un ricercatore che vuole conoscere l’anima del mondo, un esploratore della luce. Cerca un tesoro che ha perso, l’unità alla quale ricongiungersi. Sembra una canzone d’amore. Non lo è nel senso classico. Giulia già se ne va. Parte con frasi di fisarmonica e ritmiche dance dai colori un po’ gipsy un po’ latini questa giostra del libertino. Una parata ironica di situazioni amorose. Altrove l’amore è lirico e sentimentale, qui è gioco e divertimento. Addio Milano, addio. Una nota autobiografica. Un saluto amaro ad una città importante, una tappa fondamentale per la propria formazione. Vi è citata “Luci a San Siro” di Vecchioni. Cesare Pavese. È liberamente tratta dai diari del grande scrittore Il mestiere di vivere: “22 giugno 1950…Domattina, parto per Roma… E’ una beatitudine..” Nell’economia della scaletta è il momento dell’impossibilità, dell’incapacità d’amare. Della rinuncia. Il mio amico campanaro. La chiusura dell’album è affidata a questa suggestiva ballad on the road. E dalla strada, dove scorre, la vita si alza verso il cielo “stranamente” in un ultimo slancio di libertà. Surreale.

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